martedì 22 novembre 2016

Bacino: come si trasforma durante la gravidanza

Il bacino femminile ha diverse funzioni: permette una posizione eretta ed un’andatura regolare, ospita l’apparato riproduttivo, è fondamentale nel momento del parto. Si differenzia da quello maschile, poiché anziché in altezza, si sviluppa in larghezza.

Per sapere qualcosa di più sul bacino della donna è il caso di partire da alcune nozioni di anatomia.

Bacino: come è fatto

bacinoIl bacino rappresenta quella circonferenza che ogni nascituro deve attraversare prima di venire al mondo: al suo interno c’è la cavità pelvica, che presenta nella parte superiore, l’addome, a sua volta limitato inferiormente dal perineo (zona posta tra le cosce).

Le ossa del bacino sono 3:

  1. l’ileo (dal quale ha origine la cresta iliaca),
  2. l’ischio,
  3. il pube.

Se poi osserviamo meglio, ci rendiamo conto che nelle pelvi (o piccolo bacino) si distinguono diverse parti:

  • lo stretto superiore ossia l’ingresso al canale del parto, delineato anteriormente dal margine superiore della sinfisi pubica e posteriormente dal promontorio (articolazione sacro-vertebrale),
  • lo stretto medio delimitato anteriormente dalla faccia del pube e posteriormente dalla spina ischiatica,
  • lo stretto inferiore (uscita del canale di parto) che ha nella parte anteriore le ossa pubiche ed in quella posteriore, il coccige.

Tutte queste stazioni rappresentano i diversi passaggi del percorso che compie un nascituro per venire al mondo.

Come vede il bimbo il bacino materno?

bacino donnaVisto con gli occhi del bambino, il bacino ha la forma di un imbuto caratterizzato da tre passaggi detti “stretti”.

Sembra quasi che sappia inconsciamente trovare la via di uscita e sappia posizionarsi nel canale di parto: la sua testa dovrebbe incunearsi nel primo gruppo osseo di forma circolare e ripiegarsi sul petto con i muscoli del collo inevitabilmente poco tonici.

Questo movimento istintivo è detto “riduzione”, poiché si riduce il diametro della posizione. L’alternanza tra diametri più stretti e più larghi, favoriscono la venuta alla luce del bambino: con più precisione diciamo che il diametro antero-posteriore (da davanti verso l’indietro) è quello del canale del parto, quello che si sente se siete sedute e percepite le ossa appuntite (gli ischi), ossia la distanza fra quest’ultime è il diametro laterale del parto.

I diametri subiscono delle variazioni a seconda della posizione in cui siamo: se per esempio ci accovacciamo e il tronco è spinto in avanti, il diametro si allarga; mentre, se siamo in posizione seduta o sdraiata, i diametri rimangono fermi e più stretti.

Quale ginnastica favorisce un parto sereno?

E’ importante tenere allenati i muscoli del bacino ed imparare a fare i giusti movimenti nel periodo più indicato: dal secondo trimestre, dal quarto mese, si dovrebbe provare a mantenere una posizione accovacciata con il busto leggermente in avanti per qualche minuto ogni giorno, aumentando gradualmente il tempo. Questa posizione rende più abituale la giusta posizione di gambe e bacino che dovrebbero abituarsi a quella del parto.

Questa posizione è sensibilmente sconsigliata quando alla 34ma settimana il bambino presenta una posizione podalica.

Un’altra posizione preferibile è restare sedute incrociando le gambe, che è quella molto amata dalle donne orientali o insegnata a tutte le donne che seguono corsi di pratiche orientali (yoga, etc.).

Andrebbe precisato che per prepararsi al parto oltre alla posizione accovacciata, sono solitamente utili altre 3: a farfalla, carponi e a rana.

Analizzandole singolarmente ed iniziando dalla posizione a farfalla, va detto che si tratta di una ginnastica che ha come finalità quella di giovare a tutta la zona pelvica, incluso l’apparato genitale; serve, infatti, a far rilassare i muscoli pelvici. In cosa consiste?

Dovreste sedervi per terra, tenendo piegate le ginocchia ed unendo le piante dei piedi; è raccomandabile trovare una distanza giusta tra le ginocchia e il pavimento e tra i piedi e il vostro corpo. Se trovate giovamento, è possibile appoggiarvi ad una parete e procedere alla respirazione.

Posizione carponi:

com’è noto la posizione carponi porta il peso sulle mani e sugli avambracci e quindi serve a diminuire la pressione sul bacino poiché la pancia pesa meno sulla schiena. Favorisce lo scioglimento muscolare del collo e delle spalle, permettendo un maggiore rilassamento a livello degli arti inferiori. E’opportuno però mantenere la colonna vertebrale allineata per evitare eventuali iperlordosi.

Posizione a rana:

immaginate vi sia una piscina o il mare davanti a voi ed iniziate a rilassarvi. Le vostre articolazioni pelviche si muovono in modo armonioso e portano ad una buona elasticità del canale pelvico: la muscolatura dell’area sacrale è distesa, la colonna vertebrale si allunga e il peso del bambino e dell’utero si spostano in avanti. Tanto più si è in avanti nell’età gestazionale, tanto più tale posizione rilassa, in quanto la zona inferiore della schiena riesce ad interrompere lo stress del peso a cui è sottoposta nelle altre posizioni, soprattutto quella eretta.

Oltre a quelle suddette, si può osservare che quando ci si avvicina alla data o meglio all’ultimo trimestre la ginnastica più appropriata consiste nel divaricare le ginocchia il più possibile, nell’unire gli alluci ai piedi rimanendo con la schiena eretta o leggermente accucciata. Chiaramente vi sono anche alcuni sport come per esempio il nuoto e specialmente lo stile rana che rinforzano la muscolatura del bacino e rilassano.

Quali viziature può presentare il bacino?

Il bacino può presentare una forma regolare come anche irregolare: nei casi delle donne particolarmente basse o affette da scoliosi, il bacino ha solitamente una conformazione obliqua e un arto inferiore è più corto. Talvolta vi sono malattie come il morbo di Perthes che causano problemi nell’articolazione dell’anca e nel collo del femore con il conseguente accorciamento dell’arto.

Un’altra viziatura è rappresentata dalla lordosi particolarmente accentuata o uno scivolamento della V vertebra lombare sulla prima sacrale che genera una protrusione evidente ed una riduzione del diametro antero-sacrale.

Vanno aggiunti poi gli esiti di alcune fratture o traumi a livello pubico che generano la formazione di calli ossei che possono ostacolare il cammino del feto.

Un tempo i bacini erano viziati per problemi di rachitismo o da esiti poliomelitici, ma ormai da tempo le condizioni ambientali e l’alimentazione sono migliorate e queste cause sono state eliminate.

La normale conformazione del canale di parto è essenziale perché il parto possa avvenire per via naturale.

Durante la prima visita, lo specialista raccoglie la storia clinica della gestante per stabilire sin dall’inizio la migliore procedura da seguire, in base a malattie pregresse a carico dell’apparato osteo-articolare ed eventuali “vizi” del bacino.

E’ necessaria l’esecuzione della pelvimetria esterna ed interna, dati validi ed attendibili per la pervietà del bacino. Il tipo di deambulazione dà già comunque una prima idea da approfondire sulla regolarità o meno degli arti inferiori.

Fonte:

Ginecologia ed Ostetricia a cura di G. Pescetto

 



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/bacino/

domenica 20 novembre 2016

Il parto: ha i mai pensato a cosa significa partorire?

Se si partorisce un bambino sano dopo una gravidanza serena, tutte le donne sono felici e lo sono di più se lo hanno fatto con un parto naturale poiché sono state protagoniste assolute nel palcoscenico della sala parto.

I bambini attraversano il canale da soli e la mamma li aiuta a venire alla luce senza l’intervento del chirurgo o magari attraverso solo suggerimenti o piccolissime manovre. Ma se si vuole scoprire quali sono le fasi, cerchiamo di sapere come è fatta una donna.

Come è fatta la donna da un punto di vista anatomico

partoForse lo sapete già, forse non ci avete mai pensato….la risposta la conosce ciascuna di voi. Vediamo di aiutare chi è curioso ….. partendo dall’indicazione degli organi riproduttivi, quali la vagina, la cervice, l’utero, le tube di Falloppio, le ovaie.

Per concepire un figlio è necessario che le ovaie rilascino un ovocita che attraverserà le tube di Falloppio ed andrà in utero; se gli spermatozoi fanno il loro dovere, l’uovo viene fecondato e la donna inizia la sua gravidanza.

L’utero gradualmente cresce e si dilata fino ad arrivare al punto massimo al termine della 38 settimana.

La parte inferiore dell’utero si chiama cervice che si trova all’apertura della vagina; quest’ultima va verso l’esterno del corpo aprendosi tra l’uretra e il retto.

Cosa succede quando inizia il travaglio?

parto donnaQuando le future mamme iniziano a sentire sensazioni simili a crampi a livello addominale, cosa potrebbe significare? Molto probabilmente è il momento in cui i muscoli uterini si contraggono, ovvero si hanno le contrazioni.

Inizialmente, dopo un lasso di tempo di circa 20 minuti e poi in tempi sempre più ravvicinati; appena si arriva ad un intervallo di 5 minuti o meno, vuol dire che la donna è entrata in travaglio.

Questa è caratterizzata da 3 fasi:

  1. fase dilatazione o assottigliamento,
  2. parto vero e proprio ovvero espulsione,
  3. uscita della placenta.

Vediamo di analizzare le singole fasi.

Fase dilatazione o assottigliamento

Nella fase di dilatazione o assottigliamento avviene che la cervice arriva ad estendersi fino a 10 cm (dilatazione) e quasi contemporaneamente la cervice tende ad assottigliarsi (assottigliamento).

Parto vero e proprio ovvero espulsione

Una volta entrata in travaglio, la mamma è invitata a spingere ogni qual volta dovesse sentire le contrazioni. Talvolta, si possono avere dolori alla schiena o piccoli sanguinamenti, ma sono abbastanza fisiologici e non destano preoccupazione.  In altri casi, il travaglio deve essere accelerato per la rottura del sacco amniotico, attraverso farmaci che proteggono il feto da eventuali infezioni presenti nel canale di parto. Può accadere che alla donna vengano poste delle fasce elastiche speciali simili a cinte, per controllare il livello e la forza delle contrazioni si decida di effettuare un tracciato cardiotocografico.

L’aumento delle contrazioni fa capire che il bambino sta passando per la cervice ed arrivando in vagina.

Il momento più importante sta per avvicinarsi.

La fase espulsiva comincia quando il bambino dopo aver attraversato la cervice dilatata tanto quanto serve, giunge in vagina e riesce a venire alla luce grazie alla spinta materna eseguita dopo ogni contrazione. A questo punto, se il bambino è più grande e possono incontrarsi difficoltà nella fuoriuscita, il ginecologo-ostetrico pensando che si possa strappare o lacerare la vagina, può decidere di praticare un’incisione chirurgica ai lati; questa è finalizzata sia ad  aiutare il bambino a venire fuori più facilmente, sia a proteggere la vagina e i tessuti circostanti, sia infine per prevenire eventuali complicazioni future, quali per esempio l’incontinenza.

Se poi si dovessero presentare altre difficoltà, dal momento che il tempo di espulsione deve essere il più breve possibile, lo specialista usa una pinza chiamata forcipe per aiutare il bimbo ad uscire più velocemente. In alternativa si utilizza una speciale ventosa poggiata sulla testa del bambino.

Quando il bambino è uscito, viene reciso il cordone ombelicale.

Uscita della placenta

Durante l’ultima fase si pensa alla placenta e si esamina il cordone per identificare eventuali anomalie. In seguito, nel caso sia stata eseguita un’episiotomia, si provvede alla sutura.

I rischi del parto

parto fetoGeneralmente, non ci sono rischi particolari durante il parto e quasi sempre se si dovessero presentare complicanze, queste sono risolvibili con più o meno difficoltà. Tuttavia, qualcosa esiste ed è il caso di menzionarlo.

Va distinto, però il tipo di parto ossia se si partorisce spontaneamente naturalmente o si deve optare per il taglio cesareo.

Nel parto spontaneo:

  1. Lo stress potrebbe provocare sul bimbo una debolezza a livello nervoso.
  2. Problemi respiratori o cardiaci e a seconda del tempo in cui il bimbo ha sofferto per una mancanza di ossigeno o un’aritmia. Per quanto riguarda le neomamme, tutto dipende dalla posizione e dalla tensione delle gambe durante l’intero travaglio:
  3. I nervi e i muscoli degli arti inferiori potrebbero perdere la loro tonicità temporaneamente per periodi più o meno lunghi, potrebbero verificarsi sanguinamenti per lo sforzo e la rottura di qualche capillare, molto raramente si potrebbero verificare infezioni; queste ultime si possono tranquillamente curare con una terapia antibiotica.

Per quanto riguarda il taglio cesareo, i rischi sono più o meno gli stessi che possono accadere in qualsiasi intervento chirurgico (trombosi, infezione della cicatrice, piccoli sanguinamenti, traumi, il più spesso passeggeri, ai nervi del bacino a livello iliaco-femorale o qualche problema nell’evacuazione delle feci).

Si può partorire senza sentire dolore?

Questo dipende dalle partorienti.

Si può richiedere infatti una qualsiasi forma di anestesia effettuabile con farmaci, localmente o attraverso il blocco epidurale da metà schiena in giù. Tra questi metodi, l’anestesia locale in vagina, è la più semplice in quanto non si sente molto dolore e al tempo stesso si riesce a spingere al momento giusto.

L’epidurale è usata principalmente nei tagli cesarei, ma è possibile anche nell’altro caso. E’un’anestesia che non influisce sul feto e sul neonato poi; i nervi e la forza muscolare della mamma sono preservate.

Esiste infine l’anestesia generale ma si tende a cercare alternative.

Quando è necessario il taglio cesareo?

Se è la donna a richiederlo ed il ginecologo a concordarlo, specialista e paziente sanno già come e quando procedere, se invece è dettato dalla situazione, vediamo perché e quando eseguirlo.

Cinque almeno sono le circostanze:

  • Quando il bambino non riesce ad attraversare il canale di parto o ha problemi durante il travaglio.
  • Quando il bambino si trova in una posizione tale da non consentire facilmente il parto.
  • Se non c’è spazio sufficiente per il bambino quando deve uscire dalla porta vaginale.
  • Se la dilatazione della cervicale non è completa.
  • Se si verificano inaspettate situazioni.

Per partorire, oggi la decisione viene presa dalla paziente nel caso di parti naturali o spontanei; se non sono possibili, sarà il ginecologo a suggerire i pro e i contro di ogni intervento che vorrà fare ed esprimerà la sua posizione spiegando il perché considera più tranquillo il tipo di parto suggerito.

Fonte:

www.nostrofiglio.it



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/parto/

venerdì 18 novembre 2016

Osteoporosi: prevenzione e cura

L’osteoporosi è una malattia che colpisce le ossa, indebolendole lentamente, fino a provocarne una frattura. Si tratta di un problema che interessa maggiormente i paesi industrializzati e in particolare le persone di sesso femminile dopo la menopausa.

L’osteoporosi, se si segue un corretto stile di vita, può essere opportunamente prevenuta o al limite curata in modo da rendere la vita del paziente soddisfacente.

Le cause dell’osteoporosi

Osteoporosi: prevenzione e curaLe ossa sono tessuti che vivono e si modificano durante la crescita di un individuo, in particolare si rinnovano in continuazione grazie a un meccanismo per cui il tessuto vecchio viene rimosso e sostituito da quello nuovo. Durante l’infanzia la quantità di tessuto nuovo è maggiore di quello che viene eliminato e per questo motivo la massa ossea aumenta, fino a raggiungere un picco intorno ai 30 anni. Superata questa età il nostro organismo rimuove più tessuto di quanto ne crea e per questo motivo la nostra struttura ossea inizia a indebolirsi.

L’indebolimento dell’organismo non è uguale per tutti gli individui ma è legato ad alcuni fattori personali:

  • sesso, le donne hanno una maggiore probabilità di soffrire di questo disturbo,
  • quantità di tessuto osseo accumulato durante la crescita (picco di massa ossea),
  • qualità del tessuto osseo legata alla quantità di calcio, fosforo e altri minerali contenuti nelle ossa,
  • livelli ormonali, se le quantità di estrogeni e testosterone si abbassano il decadimento osseo è più veloce,
  • velocità di decadimento legato a fattori genetici,
  • alimentazione in cui si ha uno scarso apporto di calcio,
  • fumo ed eccesso di alcool,
  • stile di vita con scarsa attività sportiva,
  • utilizzo prolungato di farmaci come corticosteroidi, antidepressivi, antitumorali,
  • invecchiamento,
  • corporatura, le persone esili hanno una maggiore probabilità di ammalarsi.

I sintomi dell’osteoporosi

I sintomi dell’osteoporosiL’osteoporosi, soprattutto nelle prime fasi, è asintomatica e l’individuo non si rende conto che le sue ossa si stanno pericolosamente indebolendo. In genere, se si è fortunati, ci sono alcuni campanelli d’allarme grazie ai quali un buon medico capisce il sopraggiungere della malattia:

  • mal di schiena,
  • variazione della postura che tende a incurvarsi,
  • diminuzione della corporatura.

Spesso, purtroppo, la malattia è asintomatica e ci si rende conto di esserne affetti solo quando arriva una frattura delle ossa ormai deboli. Generalmente le ossa più colpite sono le vertebre, il femore e il polso che si rompono a seguito di una caduta o anche di piccoli incidenti.

Il problema è che le fratture interessano spesso le persone anziane e non sono da escludere pericolose complicanze causate dall’età. In particolare non sempre il paziente riesce a ristabilirsi a seguito di una frattura importante come quella del femore.

Le persone che hanno maggiore probabilità di contrarre l’osteoporosi sono donne in menopausa con un’età intorno ai 70 anni. Recenti studi hanno, infatti, evidenziato che a questa età una donna può avere il 30% in meno della massa ossea che aveva in gioventù. Se poi ricordiamo che il sesso femminile ha una lunghezza media della vita più alta di quella degli uomini è spiegato il motivo per cui il 70% dei malati di osteoporosi sono donne.

Come diagnosticare e prevenire l’osteoporosi

Considerato che l’osteoporosi è generalmente asintomatica gli esperti consigliano di sottoporsi, superati i 65 anni di età, a particolari controlli che misurano la densità delle ossa e la loro variazione nel tempo, come la mineralometria ossea computerizzata (MOC), l’assorbimetria a raggi X a doppia energia (DEXA) e la Tomografia computerizzata (TAC) quantitativa.

Per l’osteoporosi, come per molte altre patologie, la migliore cura rimane sempre la prevenzione. In particolare i medici consigliano:

  • una dieta equilibrata ricca di calcio (latte, latticini, arance, pesce, verdura) e vitamina D,
  • limitare il fumo e il consumo di bevande alcoliche,
  • assorbire una buona quantità di luce solare per assorbire meglio la vitamina D assunta con l’alimentazione,
  • prestare particolare attenzione alla postura che si tiene durante l’arco della giornata in modo da non accumulare tensioni ai danni della colonna vertebrale,
  • seguire un’attività fisica regolare in modo da irrobustire le ossa e i muscoli che le sorreggono.

Invece, le persone anziane, dovrebbero prestare attenzione a eventuale cadute indossando scarpe basse e antiscivolo, mettere un tappetino antiscivolo nella doccia e fare attenzione quando si sollevano carichi pesanti.

A seguito di una frattura causata da osteoporosi il paziente dovrà iniziare una seria terapia di recupero in modo da rinforzare le ossa. Generalmente quando si arriva a un punto critico non è più sufficiente variare l’alimentazione o lo stile di vita e bisognerà seguire una terapia farmacologica sotto il consiglio di un medico esperto.

La terapia per curare l’osteoporosi

Ricordiamo che è fondamentale seguire una terapia solo se seguiti da un medico esperto e bisogna assolutamente evitare il fai da te in quanto i farmaci usati per curare l’osteoporosi possono avere effetti collaterali anche seri. Inoltre è bene ricordare che non esiste una terapia specifica che vada bene per tutti i casi, quindi la diagnosi di un medico è imprescindibile così come la gestione della terapia (durata e farmaco utilizzato).

Tra i farmaci maggiormente utilizzati per curare l’osteoporosi abbiamo: estrogeni, SERM, bisfosfonati, teriparatide e ormone paratiroideo, calcitonina, vitamina D e suoi derivati e integratori di calcio.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/osteoporosi-prevenzione-cura/

martedì 15 novembre 2016

Mal di pancia: tutte le tipologie

Il mal di pancia può dipendere da diverse cause, provocare vari sintomi e avere differenti modalità di intervento per trattarlo e diminuirne i fastidi.

Tra le tipologie di mal di pancia più comuni possiamo ricordare: i crampi addominali, la sindrome dell’intestino irritabile e i dolori mestruali.

I crampi addominali

Mal di pancia tutte le tipologieI crampi addominali sono un disturbo abbastanza diffuso nel mondo occidentale a cause della nostra alimentazione e allo stress della vita di tutti i giorni. Alcuni studi hanno dimostrato che circa il 25% della popolazione adulta soffre di crampi addominali con una maggiore incidenza nelle donne. Spesso i sintomi si presentano all’improvviso e possono essere di varia intensità.

È importante localizzare bene la posizione del dolore perché può fornirci indicazioni sulle cause che lo hanno scatenato. Questa è un’informazione che dovremmo riportare al nostro medico durante la visita di controllo diagnostica.

Tra le cause probabili dei crampi addominali ci può essere la nostra alimentazione in quanto gli organi della digestione sono molto sensibili e possono subire le influenze di eventuali intolleranze e allergie verso particolari cibi.

Ricordiamo inoltre che nella pancia è situato il nostro secondo cervello, il cervello enterico, che può veicolare al nostro fisico segnali della nostra emotività. Quindi se siamo nervosi, se abbiamo stati di ansia e se il nostro stato è un continuo alternarsi di picchi emotivi positivi e negativi è probabile che questo si riverserà sulle nostre condizioni fisiche.

Per trattare il mal di pancia dovuto ai crampi addominali possiamo prima di tutto variare la nostra dieta eliminando i cibi a cui siamo intolleranti e cercare di vivere una vita più rilassata.

La sindrome dell’intestino irritabile

Il mal di pancia può essere collegato alla patologia della sindrome dell’intestino irritabile. Ancora non si conoscono con precisione le cause di questo disturbo, anche se si ipotizza una ipersensibilità del tratto digerente agli stimoli esterni, ma i sintomi che ne derivano sono importanti e ne soffre una vasta fascia della popolazione che ha problemi a portare avanti la vita di tutti i giorni.

Tra gli altri sintomi della sindrome dell’intestino irritabile possiamo ricordare diarrea, flatulenza, gonfiore addominale, mal di testa e ripercussioni negative sull’umore e sul benessere generale della vita della persona colpita.

I dolori mestruali

I dolori mestruali sono la causa più comune del mal di pancia delle donne. Per alcune di esse questo momento viene vissuto con particolare apprensione in quanto i disturbi che ne sono associati possono essere debilitanti nello svolgere la normale vita quotidiana.

Generalmente le sensazioni di fastidio sono localizzate nella parte inferiore dell’addome e sono messe in relazione con le contrazioni muscolari dell’utero. La comparsa di questi disturbi può iniziare un paio di giorni prima dell’arrivo delle mestruazioni e possono arrivare ad una fase più acuta i primi giorni seguenti.

Tra i rimedi più utilizzati per diminuire questi disturbi, e in particolare il mal di pancia, possiamo avere: farmaci antidolorifici, integratori a base di magnesio, cure ormonali, impacchi di calore (scaldini o borse di acqua calda), particolari esercizi fisici e una corretta alimentazione.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/mal-pancia-tutte-le-tipologie/

Vuoi conoscere meglio il tuo utero ed altri organi femminili? Questa è la tua occasione!

Forse tutti non sanno che l’ utero e le ovaie della donna cambiano nella forma e nella dimensione a seconda dell’età della donna; un discorso poi a parte va fatto per le donne che vivono una o più gravidanze e le nullipare ovvero quelle che non hanno gravidanze.

I cambiamenti sono dovuti principalmente all’influenza degli ormoni e alla presenza di cisti follicolari fisiologiche nelle ovaie.

Come dovrebbe essere il regolare sviluppo dell’ utero?

uteroSe alla nascita la lunghezza, lo spessore e la larghezza dell’ utero sono rispettivamente 40, 11 e 16mm, dopo il primo mese, la lunghezza e la larghezza si riducono diventando di 35 e 12mm, mentre nelle ovaie scompaiono le cisti.

Questo andamento di valori che vanno sempre più riducendosi si ha fino al compimento del 7° anno.

A partire dagli 8 anni, infatti, si recupera gradualmente e l’ utero e le ovaie crescono 1 cm l’anno fino ad 11 anni per raggiungere l’acme al momento dell’età pre-puberale/puberale; durante l’età puberale ricompaiono nell’ovaio le cisti follicolari.

16 anni è l’età chiave per le dimensioni uterine, che, in caso di non gravidanza, rimarranno tali fino alla menopausa.

Le modificazioni sono anche a livello morfologico e i vari cambiamenti dovrebbero essere crescenti in modo proporzionale fra di loro: cervice, collo e fondo uterino; in caso contrario, ossia se la crescita è interrotta, potrebbe insorgere qualche problema in futuro e dunque le donne potrebbero avere problemi di fertilità.

Nelle donne che hanno un solo figlio, l’ utero ha una lunghezza di circa 8,5 cm, nelle multipare (con più figli) è pari a 9,5 cm, nelle nullipare rimane di 7,5cm.

Cosa accade all’ utero in menopausa?

utero formaNei primi cinque anni della menopausa, periodo durante il quale viene meno la produzione degli estrogeni e viene a mancare il ciclo mestruale, le dimensioni uterine meglio tutti i suoi diametri, si riducono gradualmente tornando a quelli che si hanno in età pre-puberale.

Inoltre l’utero tende a perdere la sua tonicità muscolare se non si pratica una ginnastica idonea e va incontro naturalmente a quella che viene definita “atrofia” (a = privo di e trophia = elasticità).

Nella fase pre-menopausale l’utero è di circa 1,5 cm, in quella post-menopausale di 4-5mm. Quando le dimensioni non rispondono a tali parametri, il ginecologo generalmente consiglia un’isteroscopia o una biopsia endometriale per escludere eventuali formazioni neoplastiche.

E alle ovaie…cosa accade?

Le variazioni più significative delle ovaie in una donna in età fertile riguardano il volume che può essere misurato facilmente attraverso un’ecografia trans-vaginale. Ma contrariamente a quanto si possa pensare l’ovaio subisce un’involuzione graduale: rispetto all’utero fa un percorso diverso, in quanto non subisce alcuna modificazione in gravidanza, ma solo con l’età.

In menopausa, il volume di entrambe le ovaie passa da 7-8 cm3 a 2,5cm3.

Come varia la circolazione a livello pelvico?

Con il power-Doppler è possibile calcolare l’indice di pulsatilità (la pressione con la quale il sangue arriva ed attraversa l’arteria uterina all’utero) e l’indice di resistenza (la difficoltà a superare la resistenza del vaso).

Tali valori sono importanti e potrebbero essere significativi per l’individuazione di molti dei problemi legati all’infertilità: è stato calcolato che questi due valori sono più alti rispetto alla norma.

Durante il ciclo mestruale, l’indice è più elevato nella prima fase e più basso in quella post-ovulatoria.

La valutazione Doppler nella regione del follicolo dominante risulta alta nella fase proliferativa e bassa nell’ovulazione.

Attualmente grazie allo sviluppo di una strumentazione specifica che un tempo non esisteva si può controllare lo sviluppo dell’utero e delle ovaie in ogni periodo di vita della donna. Durante l’età fertile si rivela utile l’esame dell’endometrio che permette di conoscere indirettamente anche l’attività e la funzionalità ovarica.

Un attento controllo andrebbe fatto regolarmente soprattutto nei vari passaggi e dopo i primi cinque anni dalla menopausa, poiché le dimensioni possono rivelarsi indice di qualche patologia o disfunzione da risolvere con terapia farmacologica o con l’intervento chirurgico.

Fonte:

Pescetto-De Cecco, Manuale di Ostetricia e Ginecologia, 2015.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/utero/

lunedì 14 novembre 2016

Diabete: iniziative, tipologie e cure per una importante patologia

Il diabete è una patologia molto diffusa in Italia che viene  però spesso sottovalutata.

Ogni anno in occasione della “Giornata Mondiale del Diabete” numerosi volontari esperti del settore si mettono a disposizione in 500 città italiane per prevenire e curare questo problema.

Iniziativa per la sensibilizzazione sul tema diabete

diabeteIn Italia sono circa 3 milioni settecentomila le persone colpite da diabete. In base ai dati statistici della Sid, Società Italiana di Diabetologia, la Calabria sembra essere tra le regioni più colpite mentre tra le ultime trova posto il Trentino alto Adige. Gli uomini sono più colpiti delle donne soprattutto in un’età compresa tra i 50 e i 69 anni.

Nel 1991 è stata istituita dall’ International Diabetes Federation la “Giornata Mondiale del Diabete” che in Italia viene organizzata dal 2002 il 14 Novembre di ogni anno, un evento importante per la sensibilizzazione sul tema del diabete.

L’evento si svolge in circa 500 città italiane dove professionisti volontari del settore si  mettono a disposizione per informare sulla prevenzione e sulla gestione di questa importante patologia.

Che cos’è il diabete

Il diabete chiamato anche diabete mellito, è una malattia dovuta ad un aumento della concentrazione del glucosio nel sangue, a causa di una problematica collegata all’insulina.

Quando quest’ultima non viene prodotta sufficientemente dal nostro organismo, i livelli di glucosio nel sangue tendono ad aumentare superando i limiti considerati nella norma. In questi casi ci troviamo in una condizione chiamata iperglicemia.

Che cos’è l’’insulina?

L’insulina è un ormone che viene prodotto dal pancreas ed ha la funzione di permettere l’accesso del glucosio all’interno delle cellule del nostro organismo per poterlo utilizzare come fonte energetica.

Un malfunzionamento di questo processo crea un accumulo del glucosio nel sangue.

Cosa si intende per glicemia?

La glicemia misura la concentrazione di glucosio nel sangue. In genere valori nella norma per persone sane (non diabetiche) si aggirano tra i 60 e i 99 mg/dl, questo valore può aggirarsi tra 130-150 mg/dl se misurato dopo aver mangiato.

I diversi tipi di diabete

Esistono diversi tipi di diabete:

  • diabete di tipo 1:

il diabete di tipo 1, interessa il 10% dei casi, è causato dalla distruzione delle cellule ß addette alla produzione dell’insulina, generalmente si manifesta nei bambini e negli adolescenti. A seguito di questa mancanza il paziente diabetico dovrà ricevere questo ormone dall’esterno quotidianamente e per tutta la vita.

  • diabete di tipo 2:

il diabete di tipo 2, interessa il 90% dei casi, si manifesta in genere in età adulta, può essere causato da una carenza di produzione di insulina o da incapacità dell’insulina di agire in modo soddisfacente.

In questo caso, a differenza del diabete di tipo 1, non è necessaria l’iniezione quotidiana di insulina esterna, perché il diabete è non insulino dipendente.

Il diabete può manifestarsi con sintomi come necessità di urinare di frequente durante la notte, sete eccessiva, visione offuscata, stanchezza, lenta guarigione delle ferite. Spesso i sintomi non sono evidenti e ci si accorge di essere affetti da questa patologia solo dopo un check-up o indagini fatte per altri motivi. Ecco perché può accadere che la diagnosi venga effettuata anche quando lo stadio potrebbe essere già molto avanzato.

  • diabete gestazionale:

il diabete gestazionale si manifesta per la prima volta durante la gravidanza in generale con un’incidenza del 4% nelle donne gravide.

Non ha niente a che vedere con gli altri due tipi di diabete. E’ causato da alcuni ormoni che vengono prodotti dalla placenta e ostacolano l’azione dell’insulina. E’ importante tenerlo sotto controllo perché se non controllato, il feto potrebbe crescere di più con possibili eventuali problematiche durante il parto, e potrebbe essere, in futuro, a rischio obesità, ipertensione e diabete. In alcuni casi come quando il peso stimato del bambino supera i 4,5 kg potrebbe essere necessario un parto cesareo.

Le conseguenze del diabete

Il diabete può comportare conseguenze anche piuttosto gravi, acute o croniche. Le conseguenze acute si riscontrano con più frequenza nel diabete di tipo 1 a causa della carenza quasi completa dell’insulina. Potrebbero manifestarsi perdita di coscienza, problemi alla vista, malattie cardiovascolari, perdita di sensibilità, dolore agli arti e piede diabetico.

Diabete: le persone a rischio

diabete cureIn caso di persone a rischio il medico potrebbe richiedere un controllo continuo della glicemia.

Si può essere a rischio diabete per:

  • familiarità,
  • obesità,
  • età,
  • ipercolesterolemia,
  • ipertrigliceridemia,
  • stress,
  • ipertensione,
  • inattività fisica.

In base ai dati forniti dall’ International Diabetes Federation circa 151.000.000 di persone nel mondo sono colpite da questa patologia.

Purtroppo sembra che questo numero sia in aumento soprattutto nei paesi industrializzati, anche a causa di uno scorretto stile di vita legato ad un’alimentazione sbagliata e sempre più sedentario.

Il diabete potrebbe comportare rischi anche molto gravi. Ecco perché sono molto importanti iniziative che informino su come prevenirlo e curarlo.

Ma quali sono i valori di glicemia a rischio?

In base al parere degli esperti, quando la glicemia raggiunge un valore pari a 200 mg/dl allora ci troviamo in una situazione di diabete.

Le cure in Italia per il diabete

Le cure per il diabete sono volte a prolungare e migliorare la vita del paziente e cercare di prevenire le complicanze.

Lo scopo delle terapie è quello di raggiungere e mantenere un livello della glicemia nella norma facendo attenzione alla dieta, svolgendo una regolare attività fisica e mantenendo un peso corporeo corretto.

Per i soggetti colpiti da diabete insulino dipendente, come già detto, è importante l’assunzione quotidiana di insulina tramite iniezioni associata ad un consumo controllato dei carboidrati.

E’ in corso una sperimentazione internazionale iniziata in California e in Canada, che entro l’anno dovrebbe coinvolgere anche l’Italia, che prevede la cura del diabete di tipo 1 grazie alle cellule staminali. La cura prevede l’impianto di una scatoletta biocompatibile nel sottocute della schiena con all’interno cellule staminali in grado di produrre insulina, andando così a sostituire l’attività del pancreas carente nei pazienti diabetici.

E’ pronta inoltre una nuova cura per i pazienti diabetici che prevede la somministrazione di un farmaco una sola volta la settimana, per ridurre la glicemia.

Il nuovo farmaco consiste in una penna a somministrazione settimanale preriempita con una dose di dulaglutide, della classe delle terapie incretiniche, indicato per i pazienti con diabete di tipo 2.

L’obiettivo di questa nuova cura è quella di trovare un modo più semplice per curarsi visto che in Italia solamente una persona su tre malata di diabete si cura veramente.

La vita di un paziente diabetico oggi è molto più semplificata rispetto ad alcuni anni fa, sono stati fatti molti passi avanti. E’ possibile ad esempio misurarsi  la glicemia quando si vuole e e dove si vuole, inoltre l’aspettativa di vita di un diabetico è paragonabile a quella di una persona sana.

Se si è affetti da questa patologia è importante non trascurarla ma seguire cure appropriate prescritte dal nostro medico. Rivolgiamoci sempre a medici esperti e qualificati.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/giornata-mondiale-del-diabete/

domenica 13 novembre 2016

Screening: se vuoi fare prevenzione!

Per stare bene, ossia per non avere problemi di salute prevedibili o per poter affrontare meglio eventuali patologie, la prevenzione si rivela essenziale e il più spesso consiste in esami ematologici non invasivi e il più spesso indolori.

Come fare per seguire il giusto iter? Sentiamo cosa viene solitamente consigliato o raccomandato per poi decidere con consapevolezza piena quali controlli si dovrebbero fare.  

Cosa si intende per “screening”?

screeningLo screening è una procedura che consente di presumere l’esistenza di una malattia nella sua fase iniziale o una condizione particolarmente a rischio attraverso un esame semplice e piuttosto rapido. Il fine ultimo dello screening è quello di passare al vaglio una moltitudine di persone, e quindi di poter distinguere persone apparentemente sane da quelle affette da uno stadio iniziale di una patologia.

In quali ambiti principali si dovrebbe effettuare lo screening?

Due sono le condizioni o gli ambiti in cui è utile e consigliabile:

  1. ·         se la malattia è già in corso ed è necessario dopo un intervento precoce controllare il significativo miglioramento della condizione di salute (carcinoma della mammella o del collo dell’utero principalmente).
  2. ·         se sussistono le condizioni o una predisposizione genetica tali da alzare il rischio di incorrere in una qualsivoglia patologia (poliposi del colon, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, glaucoma). Il test serve a controllare la reale manifestazione, ma l’intervento annulla la possibilità che possa verificarsi.

I pazienti, che sottoposti allo screening dovessero risultare positivi, dovrebbero fare altri test diagnostici per confermare quanto e se lo stadio sia avanzato. Se, invece i pazienti dovessero risultare negativi, ma appartengono ai casi a rischio, dovrebbero ripetere gli esami ad intervalli regolari per poter avere i benefici dai test.

Le due misure che valutano la percentuale dei falsi positivi sono la sensibilità e la specificità e il test ideale dovrebbe avere un errore vicino allo 0. Nel caso in cui il risultato viene espresso con variabili quantitative, la soglia di discriminazione tra soggetti positivi e negativi può essere stabilita in modo diverso a seconda di dove si consegna il test.

Ci sono tabelle per valutare l’ipertensione ma non sono uniformemente ed universalmente interpretate allo stesso modo: per esempio l’ipertensione è data quando la soglia supera i 140/90, altri i 150/90 o per il glaucoma la pressione intraoculare dovrebbe essere minore di 20 (altri sostengono che fino a 18 va bene, oltre è da controllare, per non far pensare all’incipiente problema).

Perchè e quali screening sono importanti ?

screening importantiConsiderando in particolare gli screening oncologici, questi si rivelano importanti per l’indicazione all’intervento precoce e fondamentali nel monitorare la situazione post-intervento. Se lo stadio è iniziale, è rarissimo possano esserci metastasi al di fuori della zona colpita ed essendo circoscritto con l’intervento solitamente si risolve il problema e si pensa a controllare e a prevenire un’ eventuale riformazione neoplastica.

L’insieme dei test diagnostici è ampio, ma un buon metodo di screening prevede il coinvolgimento selezionato delle persone già “malate” o fortemente a rischio e non a tappeto perché non avrebbe senso; in altre parole sono gli specialisti o i medici di base che valutando la singola situazione familiare consiglia i test preventivi che sarebbe meglio fare.

Comunque non essendoci effetti collaterali ed essendo sicuri i risultati, lo screening è importante basti pensare alla semplice mammografia, il pap-test o l’ecografia pelvica, che rappresentano gli esami più consigliati a partire da una certa età per avvalorare l’efficacia dello screening; soltanto che non tutti sanno che è una routine appartenente alla prevenzione primaria.

L’intervallo di tempo tra un test ed un altro

Fondamentalmente, ciò dipende dal risultato e dalla diagnosi che viene effettuata. Un altro elemento da considerare in caso di neoplasie è il grado e la tipologia poiché non tutte vanno alla stessa velocità.

Se le cose vanno bene, cioè si è sani, di solito dopo un intervento è opportuno eseguire lo screening ogni 6 mesi o un anno; stessa cosa se l’esito della mammografia o del pap-test o di un prelievo ematico evidenzia qualche anomalia o un “intruso”.

La cadenza ossia l’intervallo è importante per le persone a rischio e quelle che subiscono un intervento poiché è variabile e deve essere stabilita dallo specialista (oncologo o ginecologo). Per gli altri, si inizia a partire da una certa età ovvero durante l’età fertile, ma solo dopo aver iniziato l’attività sessuale o vicino o dopo l’inizio della menopausa; anche in questo caso se il pap-test è negativo si può eseguire ogni 3 anni, la mammografia ogni 2, l’ecografia annualmente.

Tutto però dipende esclusivamente dal parere dello specialista.

In Italia, lo screening viene consigliato ed effettuato per individuare i falsi o i veri malati o quelli ad alto rischio. Sono efficaci, indolori e non hanno effetti collaterali o controindicazioni. Sono considerati fondamentali per prevenire patologie o per stroncare l’avanzamento di eventuali malattie in corso.

Partendo dal pap-test si effettua per evidenziare eventuali neoplasie del collo dell’utero non visibili talvolta solo con l’ecografia pelvica, la mammografia è finalizzata alla scoperta di eventuali noduli maligni delle mammelle, la ricerca del sangue occulto nelle feci permette di scoprire neoplasie nel colon-retto. In determinati soggetti lo screening può iniziare dall’età neonatale (nei casi di displasia, disfunzioni tiroidee ed altro), come anche nei diabetici, in età gestazionale per analizzare madre/feto, nei casi con glaucoma o con malattie genetiche in famiglia.

Lo screening può migliorare la qualità della vita e prevenire importanti patologie. Perché dunque non seguire il consiglio degli specialisti?

Fonte:

Igiene epidemiologica della sanità pubblica a cura di C. Signorelli



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/screening-vuoi-prevenzione/

giovedì 10 novembre 2016

Criptorchidismo: classificazione e complicanze

Il criptorchidismo è una patologia in cui uno o entrambi i testicoli non discendono correttamente nel sacco scrotale durante la fase della crescita.

Il termine “criptorchidismo” deriva dal greco e significa appunto “testicolo nascosto” ed è un’anomalia da tenere sotto controllo in quanto le complicanze per la salute e per la fertilità maschile possono essere serie.

La classificazione del criptorchidismo

Criptorchidismo classificazione e complicanzeIl criptorchidismo può essere classificato, dopo un’attenta visita specialista, in diverse tipologie generalmente legate alla posizione assunta dal testicolo:

  • criptorchidismo con testicolo palpabile: è possibile accertarsi della presenza del testicolo con una palpazione manuale,
  • criptorchidismo con testicolo non palpabile: il testicolo non è palpabile e questo vuol dire che possiamo essere di fronte a uno dei seguenti casi:
    • il testicolo è correttamente sviluppato ma si trova in una posizione in cui non è possibile la palpazione. In genere si trova molto in alto nella cavità addominale in quanto non è riuscito a discendere correttamente (testicolo normotrofico intra-addominale),
    • il testicolo varia frequentemente la sua posizione (testicolo retrattile),
    • il testicolo è correttamente sviluppato ma si trova al di fuori del suo normale tragitto (ectopia),
    • il testicolo è presente ma è molto piccolo e non ha nessuna funzione utile (testicolo atrofico),
    • Il testicolo non si è mai formato (agenesia del testicolo).

Le complicazioni del criptorchidismo

Se il criptorchidismo non viene diagnosticato e trattato nel modo opportuno può portare a gravi complicazioni anche irreversibili:

  • ernia inguinale: disturbo che si presenta come un rigonfiamento molle a livello dell’inguine dovuto a una fuoriuscita di un viscere (in genere l’intestino tenue) dalla sua posizione naturale. Questa patologia oltre a poter provocare un dolore addominale molto intenso, può portare anche a delle gravi complicanze, come un intasamento delle feci, un’ernia incarcerata o un’ernia strozzata,
  • torsione del testicolo: patologia in cui il testicolo subisce una torsione intorno al proprio asse e non riceve più il sangue necessario al suo corretto funzionamento. Il sintomo della torsione è comunque ben evidente ed è caratterizzato da dolore inguinale acuto,
  • trauma al testicolo: quando il testicolo non scende nella sede scrotale, che è una zona relativamente sicura e protetta, ha una maggiore probabilità di subire traumi per colpi, compressioni e schiacciamenti,
  • infertilità maschile: si tratta di una delle conseguenze più gravi per l’uomo in quanto il testicolo subendo un’alterazione della sua struttura e una variazione della sua temperatura non permette agli spermatozoi di crescere e riprodursi correttamente. La variazione termica riduce la quantità e la qualità degli spermatozoi prodotti. Ricordiamo che la temperatura ottimale si ha solo all’interno dello scroto che ha una funzione termoregolatoria nei confronti del testicolo, circa 2 gradi in meno rispetto a quella addominale. La probabilità di infertilità maschile aumenta in caso di criptorchidismo bilaterale rispetto a quello monolaterale,
  • neoplasie maligne: recenti studi hanno evidenziato che gli uomini affetti da criptorchidismo hanno una maggiore probabilità di contrarre neoplasie maligne. Il rischio maggiore si ha quando il testicolo si è fermato nella zona intraaddominale,
  • anomalie e disturbi all’epididimo (un condotto che collega i dotti efferenti dal retro di ogni testicolo al suo dotto deferente) tra cui l’agenesia, l’atresia e la dissociazione testicolo epididimaria.


Fonte: https://www.idoctors.it/blog/criptorchidismo-classificazione-complicanze/

martedì 8 novembre 2016

Cardiotocografia: scopriamo qualcosa di più

Se una mamma aspetta un bambino dovrebbe conoscere tutti gli esami raccomandati solitamente per evitare problemi in seguito. Sempre meglio prevenire soprattutto se già prima della gravidanza si soffre di qualche disturbo cardiaco (ipertensione, aritmia, scompenso etc.) o se ci sono nella vostra famiglia di origine casi di anomalie cardiache. La cardiotocografia è realizzabile con il cardiotocografo, non è invasiva ed è indolore. Cosa si cerca di più?

In cosa consiste la cardiotocografia?

cardiotocografiaSulla donna vengono poste due sonde con il fine di misurare battito e contrazioni del cuore neonatale: una sonda è ad ultrasuoni ed è collocato sull’addome della donna, l’altra è appoggiata sul fondo uterino.

Il ginecologo e l’ostetrico controllano le vostre contrazioni uterine.

Tutto ciò è registrato su uno schermo e un’apparecchiatura in grado di stampare i dati: il battito del nascituro dovrebbe essere regolare; in caso contrario la diagnosi tende a variare a seconda del risultato.

Se i battiti fanno pensare ad una significativa aritmia, il feto potrebbe essere stressato; va valutato in che momento siamo ossia se all’inizio del travaglio o alla fine. Se ci troviamo alla fine è  abbastanza fisiologico e lo “stress” e non desta alcuna preoccupazione.

Cardiotocografia: quando effettuare l’esame?

Solitamente è effettuabile dalla 30ma settimana, ma raccomandato dalla 37ma.  una volta che si raggiunge il periodo indicato, l’esame va ripetuto settimanalmente fino al giorno del travaglio stesso. Può accadere che durante l’esame, 30 minuti di durata, il nascituro dorma; in questo caso andrebbe svegliato con delicatezza e pazienza e si fa bere alla donna un bicchiere di acqua zuccherata.

E’ altresì consigliabile l’esame, nel caso in cui il nascituro non dà alcun segno che possa far pensare alla vicinissima nascita; se si supera la 40ma settimana anche di 3 o 4 giorni, per decidere se ricorrere al taglio cesareo.

E se l’esame della cardiotocografia desta sospetti?

Vi sono altri esami che il ginecologo potrebbe decidere di farvi fare come la flussimetria o l’ecodoppler.

Oltre a questi ve ne sono altri come l’ossimetria pulsata fetale, un esame semplice e affatto invasivo che si fa al bimbo, ponendo un piccolo sensore sulla guancia. Con tale accertamento gli specialisti sono in grado di valutare il livello e la quantità di ossigeno nel sangue fetale.

Le condizioni per cui si possa eseguire sono: rottura delle acque, posizione cefalica del nascituro, ed un inizio di dilatazione uterina pari circa a 2 cm.

Poi c’è l’elettrocardiogramma fetale che consiste nell’applicazione via vaginale di un elettrodo sulla testa del piccolo; serve la stessa situazione del precedente esame (posizione cefalica e rottura di acque). Si potrebbe menzionare anche un altro tipo di accertamento prelevando un po’ di sangue dal capo del nascituro, ma non viene quasi mai seguito per l’invasività.

Perchè è importante la cooperazione tra ginecologi e cardiologi in gravidanza?

La cooperazione o collaborazione si rivela molto utile poiché durante la gravidanza, la donna vive continue trasformazioni a livello emodinamico: il volume del sangue aumenta, l’andamento sistolico come pure la frequenza cardiaca sono più alte. E’  importante vengano controllati i battiti del nascituro e quelli della donna poiché si può avere un’ulteriore conferma dell’avvicinarsi del parto.

Durante la gravidanza va controllata la frequenza cardiaca che dovrebbe oscillare tra gli 80/90 rispetto ai 70 che caratterizzano lo stato non gestazionale; la normalità si raggiunge dopo circa 2 mesi dal parto.

Se poi si svolge l’attività fisica consentita, ovvero non agonistica, le frequenze cardiache vanno mantenute ai livelli ideali rispettando o il 50-70% della FCmax, o eseguendo sforzi senza superare il 10°-15° punto della scala di Borg.

Come deve essere la frequenza cardiaca in un feto, nel neonato e nel bambino adulto?

cardiotocografia fetoLa frequenza del battito cardiaco fetale è superiore a quella di un adulto sano. Intorno all’ottava settimana di gravidanza, quando il ginecologo riesce per la prima volta a osservare le pulsazioni del cuoricino con l’ecografo, la frequenza si aggira intorno ai 100 battiti al minuto. Alla decima settimana, è salita a circa 175 battiti al minuto. Alla 15esima circa 150 battiti al minuto. Alla 20esima settimana la frequenza media è di 140 battiti al minuto e al termine dell’attesa è di circa 120 battiti al minuto. Il battito del bambino è destinato poi a rallentare progressivamente nel corso degli anni fino alla pubertà.

Fonte:

www.my-personaltrainer.it



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/cardiotocografia/

Schizofrenia paranoide: sintomi e cure

La schizofrenia paranoide è una malattia mentale cronica dove la persona colpita perde il contatto con la realtà che la circonda e immagina di sentire e percepire cose che in realtà non avvengono.

Il paziente colpito da schizofrenia paranoide può avere importanti complicazioni nello svolgere la vita di tutti i giorni e per questo motivo è consigliabile sottoporsi a trattamenti mirati in modo da gestire nel migliore dei modi i sintomi della malattia.

I sintomi della schizofrenia paranoide

Schizofrenia paranoideI sintomi della schizofrenia paranoide possono essere:

  • allucinazioni uditive, quando si sentono voci che non esistono;
  • manie di grandezza,
  • paranoie, quando si pensa di essere vittime di un complotto oppure che le altre persone agiscono e seguono comportamenti con il fine di danneggiarci;
  • stati di ansia,
  • scatti d’ira e comportamenti aggressivi e violenti sia contro se stessi che nei confronti di altre persone;
  • deliri che possono interessare ogni sfera della vita della persona e riguardare ogni aspetto della quotidianità;
  • distacco emotivo.

Se non opportunamente curata la schizofrenia paranoide può portare a pericolose complicazioni sia sul carattere emotivo e sia sulla salute fisica:

  • depressione,
  • malattie dovute a un consumo eccessivo di droghe, medicinali, fumo e alcol,
  • problemi con la giustizia a causa dei comportamenti violenti,
  • povertà in quanto non si riesce ad avere una normale vita lavorativa,
  • scarso rendimento scolastico.

Come curare la schizofrenia paranoide

La schizofrenia paranoide non è una malattia che si risolve da sola e per questo motivo è fondamentale rivolgersi a un esperto per una visita accurata. Durante la visita verranno effettuati numerosi test clinici e psicologici in modo da capire meglio le cause, i sintomi e le cure più adeguate.

Il rischio di non iniziare nessuna terapia è che la malattia possa degenerare fino a livelli pericolosi per se stessi e per le persone che ci sono accanto.

Le cause e i fattori di rischio della schizofrenia paranoide

Numerosi studi sono stati effettuati su questa patologia ma ancora non sono conosciute le cause scatenanti. Sono stati invece individuati alcuni fattori di rischio che aumentano la probabilità di esserne colpiti:

  • ereditarietà, se in famiglia ci sono stati altri casi analoghi è più facile esserne colpiti,
  • virus contratti dal feto durante la gravidanza,
  • alimentazione,
  • accumulo eccessivo di stress quotidiano,
  • vecchiaia,
  • assunzione di farmaci psicoattivi in età giovanile,

La schizofrenia paranoide è uno stato che dura nel tempo quindi le terapie utilizzate per tenerla sotto controllo saranno generalmente a lungo termine e dovranno essere seguite anche quando le condizioni del paziente migliorano. Il rischio di interromperle prematuramente è di avere pesanti ricadute.

Con una terapie mirata sarà comunque possibile seguire una vita normale e soddisfacente da ogni punto di vista.

I trattamenti dipenderanno dallo stato del paziente e dalla gravità della situazione:

  • farmaci antipsicotici di prima generazione, di seconda generazione e antidepressivi capaci di tenere sotto controllo i sintomi. Questi farmaci vanno assunti sotto stretto controllo medico in quanto hanno numerosi effetti collaterali anche pericolosi per la salute fisica (colesterolo, diabete, ipertensione),
  • ricovero ospedaliero.


Fonte: https://www.idoctors.it/blog/schizofrenia-paranoide-sintomi-cure/

domenica 6 novembre 2016

Omeopatia e depressione post-partum: la natura ti viene incontro!

Ebbene, molte donne che vivono con ansia la gravidanza possono andare incontro ad una crisi di depressione post partum, che potrebbe manifestarsi in modo diverso e con un stato depressivo che si distingue in lieve, medio ed alto.

E’ essenziale prepararsi ed essere pronti ad affrontare quest’eventualità. Esistono psicologi, ginecologi e omeopati che possono aiutarti: i primi e i secondi potrebbero diagnosticare questa forma depressiva e questi ultimi possono trovare alcuni rimedi naturali senza ricorrere necessariamente a farmaci.

Depressione post partum: cosa può accadere durante il puerperio?

depressione post partumTalvolta la gioia e l’emozione di essere diventate madri dura pochi giorni o poche settimane; a volte lo stress e l’ansia prendono il sopravvento e le neo-mamme iniziano a chiedersi mille quesiti ai quali non sanno dare risposta.

L’ansia sale e la depressione prevale.

E’ importante diventare prima possibile consapevoli di cosa significa e significherà in futuro l’essere mamma: c’è una creatura da allattare, da nutrire, da crescere, da educare.

I dubbi sono normali e frequentissimi e dovrebbero essere ottimizzati e considerati allarmi da fermare.

Facciamo qualche esempio: “Sarò in grado di allevarlo bene? Riuscirò ad amarlo senza trascurare la casa e il mio compagno, partner o marito? Saprò aiutarlo quando piange?”.

E poi potresti fartene altre che riguardano il tuo corpo come: “Ritornerò ad avere lo stesso corpo che avevo prima del parto? Avrò il latte necessario? Come posso controllare i miei sbalzi di umore?”.

Tutte queste domande, questi dubbi sono più che naturali ed hanno tutte una risposta affermativa a condizione che le madri seguano l’istinto materno senza farsi prendere da attacchi di panico e ascoltino tutti i consigli degli specialisti ai quali è preferibile raccontare cosa stanno attraversando.

Depressione post partum: il rimedio attraverso l’omeopatia o la naturopatia

depressione post partum omeopatia

depressione post partum omeopatia

Fondamentalmente si dovrebbe capire quali sintomi si stanno avendo e di quale preciso disturbo si sta soffrendo per poi stabilire quale rimedio potrebbe essere più efficace. Elencheremo alcuni prodotti o sostanze naturali che sono stati usati sin dall’antichità per dare sollievo a pazienti che soffrivano di tale disturbo cercando di fornire alcuna informazione relativa a tali piante:

  • ignatia,
  • sepia,
  • pulsatilla,
  • staphisagra (adatta anche un parto particolarmente complicato),
  • natrium-muriaticum,
  • kali-phos.

Ignatia

L’ignatia è un albero, le cui foglie hanno una forma ovale e i cui fiori di colore bianco  si presentano a forma di grappolo. Dai suoi fiori nasce un frutto, una bacca ricca di semi dal sapore piuttosto amaro.

E’ una pianta coltivata prevalentemente nelle regioni asiatiche e tropicali come per esempio le Filippine e l’India. L’ignatia che deve il suo nome al suo scopritore, il gesuita Ignazio di Loyola, veniva impiegata per curare febbri, nevralgie, gastralgie e l’epilessia. In questi tempi, viene prescritta nei casi di depressione post-partum poiché agisce sull’ansia e aiuta a farti sentire più rilassata.

Questa sostanza dovrebbe essere assunta eliminando o riducendo radicalmente il consumo del caffè o del fumo. Può essere efficace se lo stato depressivo non è di alto livello e coinvolge l’umore e il sistema nervoso o provoca mal di testa, nausea come altri problemi gastro-intestinali. Sarà lo specialista a valutare la giusta o necessaria assunzione.

Sepia

La sepia si estrae dalla seppia e rappresenta uno dei rimedi naturali più antichi per la cura di problemi ormonali, che spesso possono essere legati anche alla depressione post partum . Il primo a parlare degli effetti benefici della sepia fu Aristotele, relativamente a disfunzioni ormonali e tutto ciò che ne consegue.

Viene impiegata anche nei casi di spossatezza e senso di stanchezza, condizione e stato molto comune nelle donne che durante il puerperio vivono questa forma depressiva.

La sepia è particolarmente efficace nei casi di calo del desiderio sessuale o sulla pelle che assume un colorito giallastro; ciò significa che è adattissima nei casi di depressione post partum.

L’assunzione va comunque tenuta sotto controllo medico per evitare eventuali effetti collaterali; in realtà, non essendo un farmaco, non sono stati fino ad ora evidenziati particolari effetti collaterali, ma è consigliabile non superare le dosi consigliate dagli omeopati.

Cosa si sa della pulsatilla?

E’ una pianta che trova il suo habitat naturale nelle praterie americane ed euroasiatiche; è caratterizzata da un fiore di color arancione con foglie ricoperte da una peluria che mossa dal vento, sembra vedere dei piccolissimi peli che pulsano.

L’effetto di questa pulsazione ha dato il nome alla pianta.

Veniva usata dagli indigeni per le sue proprietà benefiche in campo ostetrico; recentemente sono stati scientificamente provati tali effetti.

Sembra essere piuttosto efficace di fronte ad improvvisi scoppi di pianto o di riso o quando la donna sente le caviglie particolarmente gonfie e con problemi circolatori. Le terapie basate sull’uso di pulsatilla sono indicate in caso di patologie alle vie respiratorie, indigestioni, problemi gastrici o mestruali, ma sono sconsigliate in gravidanza.

Cos’è la staphysagria?

E’ una pianta officinale dal fiore viola, usata sin dall’antichità per alleviare i dolori articolari, medicare le ferite, pulire l’intestino. Dal fiore vengono tirati via i semi, che una volta pestati si trasformano in prodotti omeopatici.

In caso di mal di testa, insonnia e frequenti sbalzi di umore causate dalla depressione post partum o dal puerperio, può essere un gran beneficio a condizione non si stia allattando; qualche controindicazione è data dal fatto che influisce sulla circolazione sanguigna e potrebbe aumentare il flusso mestruale, è da assumere in assenza di ciclo. Un’altra raccomandazione andrebbe fatta sul dosaggio che va assolutamente tenuto sotto controllo medico ed attentamente rispettato.

A cosa serve il natrium muriaticum?

E’ un sale particolare usato in omeopatia per curare tutte le persone che tendono ad avere reazioni incontrollate o repentini sbalzi di umore che vanno in crescendo in caso di forti rumori, musica alta o una temperatura molto calda ed asfissiante.

L’insieme di questa sintomatologia potrebbe verificarsi nei casi di depressione post-partum e quindi questo composto a base di sale può rivelarsi efficace. Non vi sono effetti collaterali o controindicazioni anche se è preferibile farne uso se non si soffre di ipertensione.

Cos’è il kali-phos?

Si tratta in questo caso di un metallo presente nelle piante e negli animali ed è spesso mescolato con l’acido fosforico. Generalmente è adatto a risolvere problemi al sistema nervoso e quindi l’ansia, lo stress, i conseguenti disturbi gastro-intestinali, l’insonnia e l’ipersensibilità. Influendo sul sistema nervoso centrale e periferico, aiuta a rinforzare la memoria e le energie fisiche.

Ricorrere all’omeopatia può essere vantaggioso in quanto i prodotti o le sostanze prescritte alleviano dolori di diversa natura senza provocare effetti collaterali e senza affrontare rischi. E’ severamente raccomandata la visita dall’omeopata, dal naturopata, dal ginecologo, poiché sono solo gli specialisti che possono formulare una diagnosi esatta dandovi i consigli nella scelta e nel dosaggio dei rimedi naturali. Questo è dovuto al fatto che il più spesso queste sostanze, devono essere assunte senza superare le dosi prescritte nella terapia scelta in base allo stato generale di salute.

Fonte:

www.benessere.com

 



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/depressione-post-partum-omeopatia/

sabato 5 novembre 2016

Malattia diverticolare: attenzione alle complicazioni

La malattia diverticolare è una patologia molto diffusa nel mondo occidentale a causa della nostra alimentazione generalmente povera di fibre di qualità e troppo ricca di cibi elaborati.

Al comparire di sintomi sospetti è consigliabile rivolgersi, per una visita di controllo, presso uno specialista in quanto le complicazioni di questa malattia possono essere anche gravi e irreversibili.

Che cosa è la malattia diverticolare

Malattia diverticolareI diverticoli sono delle piccole tasche (dai 3 mm ai 3 cm di grandezza) che si formano sulle pareti interne del colon, di solito nel sigma o nel colon sinistro. Una volta formate queste sacche diventano permanenti e, se si infettano e si infiammano, danno origine a complicazioni tipiche della malattia diverticolare.

I sintomi della malattia diverticolare e le sue complicanze

I sintomi della malattia diverticolare e le sue complicanzeGeneralmente una malattia diverticolare non complicata è asintomatica. Mentre nel caso di una malattia diverticolare con complicanze i sintomi possono essere:

  • dolori nello stomaco e nel basso ventre,
  • brividi,
  • febbre,
  • sensazione di pienezza,
  • diarrea,
  • gonfiore,
  • ascesso con presenza di pus,
  • variazioni delle abitudini intestinali,
  • alterazione dell’alvo,
  • formazione di fistole,
  • sanguinamento del colon,
  • perforazione,
  • difficoltà a evacuare.

Questi sintomi iniziano generalmente quando un pezzo di cibo rimane nel diverticolo dando origine a un’infiammazione del colon. L’infezione, se non curata tempestivamente, si espande nelle aree circostanti e procura l’innalzamento della temperatura corporea e fitti dolori nella parte sinistra dell’addome. In seguito ci possono essere tracce di sangue che fuoriescono dal retto che segnalano in modo inequivocabile la presenza dell’infiammazione.

Se la massa infettata contenuta nell’intestino penetra nella cavità addominale, può provocare l’infezione del peritoneo molto pericolosa: la peritonite. In questa occasione lo stomaco è dolorante, appare duro al tatto, c’è la difficoltà a espellere i gas intestinale e la febbre aumenta considerevolmente.

In alcuni casi si possono formare delle fistole, ossia dei condotti che collegano l’intestino con la vescica o altri organi limitrofi. In questo modo i virus e i batteri si diffondono velocemente contagiando altri parti del corpo. Le donne possono lamentare problemi vaginali che si presentano con perdite di liquido vaginali o nelle urine, sensazioni di dolore e bruciore durante la minzione e un’infiammazione della vescica difficile da eliminare.

Le cause della malattia diverticolare

I motivi precisi per cui ha origine questo disturbo ancora non sono noti del tutto ma, numerosi studi hanno evidenziato che la causa principale della malattia diverticolare è imputabile a una dieta povera di fibre che provoca una stitichezza cronica.

I primi casi di questa malattia si sono verificati con l’arrivo della “civiltà moderna” quando l’umanità ha iniziato a mangiare cibi troppo elaborati che generalmente sono poveri di fibre. Inoltre la persone, rispetto alle civiltà contadine, hanno gradualmente diminuito l’assunzione di frutta, verdura e legumi. Per questo motivo la malattia diverticolare è altamente diffusa in tutti i paesi industrializzati mentre è del tutto assente nei paesi in via di sviluppo.

Con il passare del tempo l’alimentazione errata provoca un aumento della pressione interna del colon formando i diverticoli. Se la situazione permane, queste sacche si possono riempire di materiale fecale che fa aumentare ulteriormente la pressione sulle pareti del colon e provocare i primi sintomi.

Ci sono poi alcuni fattori che possono aumentare la probabilità di contrarre la patologia:

  • peso eccessivo,
  • stitichezza cronica,
  • avanzare dell’età che rende i tessuti connettivi più deboli,
  • sistema immunitario debilitato,
  • chemioterapia.

Come diagnosticare la malattia diverticolare

La malattia diverticolare può essere diagnosticata tramite una colonscopia o esami radiologici.

Come curare la malattia diverticolare

Come curare la malattia diverticolareIl primo metodo che viene consigliato per curare la malattia diverticolare è apportare variazioni alla nostra alimentazione aumentando il contenuto di fibre assunte con i cibi (frutta, verdura, cereali, legumi) ed eliminando alcuni alimenti che hanno la capacità di aumentare la pressione del colon.

Se il problema principale è il dolore allo stomaco, questo può essere diminuito attraverso impacchi di borsa con ghiaccio sulla parte interessata. Evitate di applicare impacchi di acqua calda perché potrebbe avere l’effetto contrario e accelerare l’infezione.

Per quanto riguarda i medicinali possono venire prescritti antidolorifici per limitare i primi dolori e in seguito antibiotici e farmaci che rendono le feci più morbide.

In caso di situazione seria, irreversibile, quando i trattamenti con farmaci non danno risposte positive e gli attacchi sintomatici sono ripetuti sarà necessario un intervento chirurgico in cui viene asportata la parte del colon malata. In seguito il colon sano viene riagganciato al retto (“anastomizzato”) per ottenere lentamente il pieno recupero delle funzionalità. Generalmente il corretto funzionamento delle attività intestinali riprende dopo circa tre settimane.

Se la malattia viene diagnosticata in ritardo e la situazione non è recuperabile, l’intervento chirurgico dovrà ricostruire un ano artificiale (colostomia temporanea).

Comunque la migliore cura rimane sempre la prevenzione facendo attenzione alla nostra alimentazione quotidiana che dovrà essere ricca di fibre. In questo modo si ottengono feci più morbide e il colon non viene soggetto a sforzi eccessivi durante l’evacuazione evitando la formazione di nuove sacche e di inserire feci in sacche già presenti.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/malattia-diverticolare-attenzione-alle-complicazioni/

Malattia diverticolare: attenzione alle complicazioni

La malattia diverticolare è una patologia molto diffusa nel mondo occidentale a causa della nostra alimentazione generalmente povera di fibre di qualità e troppo ricca di cibi elaborati.

Al comparire di sintomi sospetti è consigliabile rivolgersi, per una visita di controllo, presso uno specialista in quanto le complicazioni di questa malattia possono essere anche gravi e irreversibili.

Che cosa è la malattia diverticolare

Malattia diverticolareI diverticoli sono delle piccole tasche (dai 3 mm ai 3 cm di grandezza) che si formano sulle pareti interne del colon, di solito nel sigma o nel colon sinistro. Una volta formate queste sacche diventano permanenti e, se si infettano e si infiammano, danno origine a complicazioni tipiche della malattia diverticolare.

I sintomi della malattia diverticolare e le sue complicanze

I sintomi della malattia diverticolare e le sue complicanzeGeneralmente una malattia diverticolare non complicata è asintomatica. Mentre nel caso di una malattia diverticolare con complicanze i sintomi possono essere:

  • dolori nello stomaco e nel basso ventre,
  • brividi,
  • febbre,
  • sensazione di pienezza,
  • diarrea,
  • gonfiore,
  • ascesso con presenza di pus,
  • variazioni delle abitudini intestinali,
  • alterazione dell’alvo,
  • formazione di fistole,
  • sanguinamento del colon,
  • perforazione,
  • difficoltà a evacuare.

Questi sintomi iniziano generalmente quando un pezzo di cibo rimane nel diverticolo dando origine a un’infiammazione del colon. L’infezione, se non curata tempestivamente, si espande nelle aree circostanti e procura l’innalzamento della temperatura corporea e fitti dolori nella parte sinistra dell’addome. In seguito ci possono essere tracce di sangue che fuoriescono dal retto che segnalano in modo inequivocabile la presenza dell’infiammazione.

Se la massa infettata contenuta nell’intestino penetra nella cavità addominale, può provocare l’infezione del peritoneo molto pericolosa: la peritonite. In questa occasione lo stomaco è dolorante, appare duro al tatto, c’è la difficoltà a espellere i gas intestinale e la febbre aumenta considerevolmente.

In alcuni casi si possono formare delle fistole, ossia dei condotti che collegano l’intestino con la vescica o altri organi limitrofi. In questo modo i virus e i batteri si diffondono velocemente contagiando altri parti del corpo. Le donne possono lamentare problemi vaginali che si presentano con perdite di liquido vaginali o nelle urine, sensazioni di dolore e bruciore durante la minzione e un’infiammazione della vescica difficile da eliminare.

Le cause della malattia diverticolare

I motivi precisi per cui ha origine questo disturbo ancora non sono noti del tutto ma, numerosi studi hanno evidenziato che la causa principale della malattia diverticolare è imputabile a una dieta povera di fibre che provoca una stitichezza cronica.

I primi casi di questa malattia si sono verificati con l’arrivo della “civiltà moderna” quando l’umanità ha iniziato a mangiare cibi troppo elaborati che generalmente sono poveri di fibre. Inoltre la persone, rispetto alle civiltà contadine, hanno gradualmente diminuito l’assunzione di frutta, verdura e legumi. Per questo motivo la malattia diverticolare è altamente diffusa in tutti i paesi industrializzati mentre è del tutto assente nei paesi in via di sviluppo.

Con il passare del tempo l’alimentazione errata provoca un aumento della pressione interna del colon formando i diverticoli. Se la situazione permane, queste sacche si possono riempire di materiale fecale che fa aumentare ulteriormente la pressione sulle pareti del colon e provocare i primi sintomi.

Ci sono poi alcuni fattori che possono aumentare la probabilità di contrarre la patologia:

  • peso eccessivo,
  • stitichezza cronica,
  • avanzare dell’età che rende i tessuti connettivi più deboli,
  • sistema immunitario debilitato,
  • chemioterapia.

Come diagnosticare la malattia diverticolare

La malattia diverticolare può essere diagnosticata tramite una colonscopia o esami radiologici.

Come curare la malattia diverticolare

Come curare la malattia diverticolareIl primo metodo che viene consigliato per curare la malattia diverticolare è apportare variazioni alla nostra alimentazione aumentando il contenuto di fibre assunte con i cibi (frutta, verdura, cereali, legumi) ed eliminando alcuni alimenti che hanno la capacità di aumentare la pressione del colon.

Se il problema principale è il dolore allo stomaco, questo può essere diminuito attraverso impacchi di borsa con ghiaccio sulla parte interessata. Evitate di applicare impacchi di acqua calda perché potrebbe avere l’effetto contrario e accelerare l’infezione.

Per quanto riguarda i medicinali possono venire prescritti antidolorifici per limitare i primi dolori e in seguito antibiotici e farmaci che rendono le feci più morbide.

In caso di situazione seria, irreversibile, quando i trattamenti con farmaci non danno risposte positive e gli attacchi sintomatici sono ripetuti sarà necessario un intervento chirurgico in cui viene asportata la parte del colon malata. In seguito il colon sano viene riagganciato al retto (“anastomizzato”) per ottenere lentamente il pieno recupero delle funzionalità. Generalmente il corretto funzionamento delle attività intestinali riprende dopo circa tre settimane.

Se la malattia viene diagnosticata in ritardo e la situazione non è recuperabile, l’intervento chirurgico dovrà ricostruire un ano artificiale (colostomia temporanea).

Comunque la migliore cura rimane sempre la prevenzione facendo attenzione alla nostra alimentazione quotidiana che dovrà essere ricca di fibre. In questo modo si ottengono feci più morbide e il colon non viene soggetto a sforzi eccessivi durante l’evacuazione evitando la formazione di nuove sacche e di inserire feci in sacche già presenti.



Fonte: https://www.idoctors.it/blog/malattia-diverticolare-attenzione-alle-complicazioni/